Sarno nella morsa dell’usura, scena muta del boss Graziano interrogato dal Gip

Ha scelto il silenzio, Massimo Graziano, esponente del clan di Quindici, scena muta anche per i presunti sodali sull’attività illecita tra usura, riciclaggio, estorsione e fittizi rapporti di lavoro per favorire l’immigrazione clandestina.Il “guru” e i suoi adepti davanti al gip Piero Indinnimeo si sono avvalsi di non rispondere alle domande dopo essere finiti in carcere mercoledì nell’ambito del blitz della Guardia di Finanza su richiesta della procura Antimafia di Salerno.

Uno dei pochi a fornire una propria versione, rispetto alle accuse mosse dalla Procura di Salerno, è stato l’ex ispettore della Squadra Mobile di Napoli, Francesco Bossoli.In tutto sono 47 le persone indagate a vari titolo. Sotto sequestro beni per oltre 1,4 milioni di euro per i quali è stata presentata istanza di revoca del provvedimento.

Sodalizio criminale con base operativa nel Comune di Sarno, il cui capo e promotore risulta Massimo Graziano difeso dall’avvocato Rodolfo Viserta, stabilitosi da tempo nell’agro nocerino-sarnese.Il gruppo criminale si sarebbe dedicato in numerosi delitti di usura ed estorsione ai danni di imprenditori e soggetti economici in stato di difficoltà di SarnoSan Marzano sul Sarno e altri comuni della zona finiti nella rete del “Quindicese”.

Nell’inchiesta della Dda salernitana spuntano anche altri usurai, con tassi richiesti del 20% di un singolo strozzino, fino al 25% da parte dei “ragazzi di Pastena” di Salerno.

Parallelamente Graziano, attraverso società fittiziamente intestate a terzi, sarebbe riuscito ad ottenere finanziamenti agevolati dalla garanzia dello Stato, così procurandosi profitti che venivano utilizzati sia come provvista per l’elargizione di ulteriori prestiti usurari sia per l’acquisto di beni o altre utilità.Il meccanismo fraudolento – per come ricostruito attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, la disamina di documentazione contabile, accertamenti bancari su un numero rilevante di rapporti di conto corrente personali e societari – avrebbe coinvolto a monte alcune società di capitali di cui gli indagati acquisivano, in modo diretto o indiretto, la gestione o comunque il controllo, simulando successivamente la solidità patrimoniale e finanziaria, presupposto per ottenere indebitamente prestiti da parte di aziende di credito, coperti dal Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese.

Ottenuta in tal modo l’erogazione della liquidità, le rate del prestito ricevuto non sono state onorate, cagionando un danno economico allo Stato garante e traendone un profitto personale attraverso la distrazione delle somme ricevute.

Riflettori accesi sul commercialista (Michele De Vivo di Ottaviano) nonché su due direttori di filiali di banca, Salvatore Amodio di Banca del Sud, raggiunto da interdizione, e Antonio Piscopo della Bpm finito ai domiciliari, ai quali è contestato di aver prestato la propria opera professionale al fine di favorire consapevolmente gli interessi economici della organizzazione mediante consulenze economico-finanziarie non veritiere.Nel programma criminoso dell’associazione vi era anche il favoreggiamento dell’ingresso illegale di cittadini extracomunitari nel territorio dello stato mediante l’inoltro di istanze finalizzate alla costituzione di fittizi rapporti di lavoro dipendente, attivati da società compiacenti.

In particolare, sono state oggetto di approfondimenti investigativi 506 istanze, inoltrate, nel corso dei cosiddetti click day, con il preordinato fine di non procedere ad alcuna assunzione ma di ottenere illecitamente il visto d’ingresso, dietro corresponsione di un compenso pari a 5mila euro per ogni nulla osta rilasciato.Nell’inchiesta risultano indagati anche due imprenditori, di Sarno e Poggiomarino, finiti sotto usura ed estorsione dal capoclan.

L’impostazione iniziale della Procura era di contestare agli indagati il reato di associazione mafiosa, anche in ragione del fatto che diversi reati fine erano stati contestati con l’aggravante del metodo mafioso.Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, tuttavia, non ha ritenuto sussistenti questi presupposti, qualificando l’associazione come semplice.Inchiesta nata dal troppo lusso e sfarzo da parte degli indagati, spesso nullatenenti ma a spasso con auto tipo Ferrari ( vedi Francesco Bossoli). Nel programma criminoso dell’associazione vi era anche il favoreggiamento dell’ingresso illegale di cittadini extracomunitari nel territorio dello stato mediante l’inoltro di istanze finalizzate alla costituzione di fittizi rapporti di lavoro dipendente, attivati da società compiacenti. Lunedì altri interrogatori per i coinvolti finiti ai domiciliari, tra cui il direttore di filiale di Banca Antonio Piscopo.

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