CASTELLAMMARE DI STABIA : il Castello Medioevale

Il Castello Medioevale è un castello di Castellammare di Stabia .Il Castello a Mare dal quale Castellammare trae il nome, sorge a 100 mt. di altitudine sul mare alle cui spalle si stagliano imponenti duomi di rocce (i contrafforti dal Faito), che si innalzano verticalmente sino a 650 mt. Il Castello sorse a guardia del ristretto tratto di costa per il quale soltanto – tra l’impervia montagna ed il mare – sarebbe potuto transitare un esercito avente il compito operativo di inoltrarsi nella Penisola Sorrentina.

Il nome di “Castello a Mare” appare per la prima volta in un documento del 1086 prova documentale che il Castello già da tempo esisteva. Costruito dal Duca di Sorrento, di osservanza bizantina, come fortezza di frontiera del suo dominio, subì, nel corso di quattro secoli (dal XI al XV) varie trasformazioni imposte dall’evolversi delle diverse tecniche dell’arte della guerra. L’aspetto odierno gli venne dall’ultima trasformazione subita nel 1470, al fine di rendere il fortilizio atto a sostenere gli attacchi delle artiglierie.

Ai primi del ‘500 fu aggiunto per la postazione delle bocche di fuoco, il “rivellino” bastionato prospiciente il fossato esterno colmo d’acqua. Il “Castrum de Stabiis ad Mare” era il caposaldo di un complesso sistema difensivo comprendente tra l’altro i castelli di Gragnano, Lettere e Pimonte ed aveva diverse torri dislocate sul terreno antistante tra cui una torre di notevole mole che sorgeva sul lido collegata mercé un camminamento corrente sulla muraglia che dal Castello scendeva a tale torre. A somiglianza di Castel Nuovo di Napoli, il Castello a Mare di Stabia deve essere considerato un’opera medioevale, anche se fu attrezzato a difesa in epoca aragonese: al secolo XV ed anche alla prima metà del secolo XVI risalgono, infatti, quei contrafforti scarpati di rinforzo ai basamenti delle preesistenti torri.

Nel sec. XV, per la strategia ad ampio raggio ed in appoggio alla dislocazione dei navigli e delle flotte in mare, la fortezza di Castellammare non era di poco conto, sì da essere inserita nella Cronaca Napoletana figurata del ‘400 edita a cura del Filangieri di Candida. I tre stemmi che, nel corso dei secoli ha avuto Castellammare recano tutti la raffigurazione schematizzata del Castello. E’ anche da ricordare che la seconda delle quattro cattedrali di Castellammare era situata nell’ambito del complesso fortificato, ove risiedevano i vescovi succedutisi, che in essa officiarono dall’ 840 al 1362. Al tempo della congiura dei Baroni, la rocca fu consegnata (ottobre 1459), senza resistenza alcuna, dal castellano, il catalano Gaillard, alle truppe di Giovanni d’Angiò, figlio di Renato, lo stesso Gaillard difese poi, valorosamente e vittoriosamente il Castello nel 1461 per gli Angiò, contro Antonio Piccolomini, Duca di Amalfi, che aveva vinto, alle foci del Sarno, gli armati angioini ed aveva occupato il 23 ottobre la città.

Castellammare fu feudo di casa Farnese, essendo stata nel 1538 portata in dote da Margherita d’Asburgo, figlia illegittima di Carlo V, al tredicenne Ottavio Farnese, e questa illustre famiglia vi mise il suo governatore, con una guarnigione mercenaria insediata nel Castello. La prigione, ricavata nel basamento del mastio fu uno degli strumenti più persuasivi dell’amministrazione dei vari Governatori, ed il suo nome “La Papiria” emerge dai documenti di archivio. Nel XVII secolo, Castellammare era una vera e propria città ed il Castello, ormai superato strumento di guerra, perse la sua originaria funzione di fortezza idonea a prestare rifugio agli abitanti, in caso di pericolo. Il maniero, nel corso degli anni successivi, fu abbandonato definitivamente, anche in conseguenza delle mutate strategie politiche della Corona di Spagna nel Viceregno, che mirava alla neutralizzazione politica dei feudatari.

Tuttavia la rovina del fortilizio, con lo sgretolamento delle vecchie pietre e dei vecchi merli, con il prorompere dalle mura dirute, di una selvaggia flora spontanea, dette al maniero quell’aspetto romantico che nel secolo XIX divenne la nota dominante del paesaggio di Castellammare, sì da farne soggetto preferito di pittori, disegnatori ed incisori da Pitloo a Duclère, da Pinelli a Gigante, da Carelli a Gaeta. Il Castello in tal modo continuò, per circa due secoli a vivere “sub specie artis” nelle opere degli artisti, specie dei paesaggisti della Scuola Posillipo, conquistandosi un suo posto tra i paesaggi celebrati dell’arte. Il Castello, nel periodo del suo maggior splendore ospitò anche il Boccaccio che lo descrisse nella giornata decima del suo Decamerone con il vicino Palazzo Reale di Casasana. Ridotto quindi allo stato di rudere, ne rimanevano solo le torri ed il perimetro esterno a pianta triangolare, mentre l’interno era completamente sprofondato. Nel 1931 il Castello divenuto proprietà privata, fu oggetto di un primo intervento di ricostruzione e di restauro sotto la guida del prof. Gino Chierici, l’allora soprintendente all’Arte Medioevale e Moderna della Campania, volto a salvare le mura esterne e le strutture preesistenti.

Durante l’ultimo conflitto, l’edificio fu occupato da truppe britanniche e ridotto allo stato di grezzo. Per riparare pertanto i danni arrecati dalla requisizione, nel 1956 venne iniziato un secondo radicale restauro di avvaloramento durato dodici anni. Sia la ricostruzione che il seguente restauro, nonché la continua e puntuale manutenzione sono stati e sono tutt’ora compiuti con grande dedizione e notevoli sacrifici finanziari da privati a pro di un edificio altrimenti destinato alla definitiva rovina.

Catello Longobardi così descriveva la fortificazione: « E’ costruito con pietra calcarea e tufo litoide, a pianta trapezoidale, con un torrione e due baluardi cilindrici, uniti da salde muraglie, un tempo, forse, merlate, ed ora diroccate nella maggior parte. I baluardi hanno, alla sommità, un piano aggettante su un coronamento di archetti e beccatelli; il torrione è rafforzato col barbacane alla base e, nella parte superiore, con una fitta cornice di modiglioni di piperno, che, evidentemente, in origine, sostenevano un piano con piombatoi. All’interno della mole si osserva una buca, attraverso la quale per lubrici scalini, si passa da una balza all’altra; nascosti da una vegetazione lussureggiante s’intravedono dei camminamenti sotterranei, che, senza dubbio, comunicavano con l’altra torre, giù, poco distante dal mare.

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